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Iraq
without water

Un viaggio sull’acqua da Mosul a Basra

L’Iraq, il paese dei fiumi, sta perdendo il suo patrimonio idrico. Cambiamenti climatici, siccità, dighe a monte in Turchia e Iran, inquinamento e cattiva gestione mettono a rischio il Tigri, l’Eufrate e le paludi mesopotamiche, una delle più grandi zone umide al mondo. La crisi idrica è complessa, con molteplici fattori e può essere la causa di conflitti futuri. Un gruppo di giovani attiviste e attivisti iracheni sta cercando di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla questione.

Le disgrazie ambientali dell’Iraq derivano dalla sua posizione geografica. Quasi il 91% dell’approvvigionamento idrico dell’Iraq non è di origine interna, ma scorre prima attraverso la Turchia, la Siria e l’Iran. Le dighe turche e iraniane, strumento di egemonia regionale, rappresentano una vera e propria minaccia per il corso dei fiumi millenari e per i suoi popoli.

La Turchia sta approfittando della sua posizione a monte per realizzare il progetto dell’Anatolia sudorientale che prevede la costruzione 22 dighe, 19 impianti idroelettrici e sistemi di irrigazione estensiva lungo il Tigri e l’Eufrate. Questa infrastruttura sta riducendo drasticamente la quantità di acqua ricevuta dall’Iraq.

La crisi idrica è anche il risultato di numerosi fattori interni: cattiva gestione, pratiche agricole obsolete, una inadeguata regolamentazione dell’inquinamento e delle acque reflue. I conflitti violenti e le guerre negli ultimi 30 anni hanno ulteriormente peggiorato il problema. Proseguendo verso sud, la situazione si aggrava, privando migliaia di persone del diritto all’acqua.

Questo viaggio “sull’acqua” inizia a Mosul, città situata sulla riva occidentale del fiume Tigri e termina a Basra, la città situata sullo Shaṭṭ Al-ʿArab, il corso d’acqua formato dall’unione dei fiumi Tigri ed Eufrate. Attraversa Sulaymaniyah, Baghdad, e le paludi mesopotamiche, una delle più grandi zone umide al mondo, è un’area profondamente colpita dalla siccità e dall’inquinamento.

Mosul e la Piana di Ninive erano un tempo considerati il granaio di tutto l’Iraq.

Oggi i contadini iracheni si trovano ad affrontare la siccità, un calo significativo delle precipitazioni annuali e una crescente salinità nel paese un tempo ricco di acqua.

Il cuore agricolo iracheno è sempre più arido.
Il 2018 è stato segnato da una grave siccità in Iraq.
Di conseguenza il governo ha vietato le piantagioni di colture estive.
Alcuni contadini dicono che stanno pensando di lasciare la terra.
Altri si sono uniti alle milizie locali per ottenere un salario regolare.
Oltre alle condizioni meteorologiche, i raccolti sono stati colpiti anche dall’assenza di infrastrutture, danneggiate dalla guerra.

A quasi tre anni dalla vittoria dichiarata dall’Iraq contro il cosiddetto Stato islamico nella roccaforte del gruppo estremista a Mosul, gran parte della zona settentrionale della città è ancora in macerie. Migliaia di case, ponti e infrastrutture civili sono state danneggiate. E questo include anche gli impianti idrici. Di conseguenza, migliaia di persone non hanno accesso all’acqua potabile.

Senza acqua potabile, la maggior parte della popolazione irachena è obbligata ad acquistarla in bottiglia. Le famiglie povere non possono permetterselo.
La mancanza di acqua potabile è direttamente collegata alla trasmissione di malattie e all’inquinamento dell’ambiente, a causa dell’elevato consumo di plastica.

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La seconda tappa di questo “viaggio sull’acqua” è Sulaymaniyah, città nel Kurdistan iracheno, circondata da montagne, fonti d’acqua e paesaggi bellissimi.
Un luogo magnifico e incontaminato. Tuttavia, parte dell’inquinamento che dal nord dell’Iraq arriva fino a sud, contaminando le acque del fiume Tigri, ha origine proprio qui.

Ranj Atta è un “guardiano dell’acqua”. È un ambientalista impegnato nella difesa dei fiumi e dell’ambiente in Iraq. Fa parte delle associazioni “Nature Kurdistan” e “Waterkeepers Iraq”, che si occupano di proteggere i fiumi Tigri ed Eufrate e il diritto di tutti e tutte all’acqua pulita.

Per decenni i rifiuti solidi urbani e industriali di Sulaymaniyah sono stati scaricati in una discarica accanto al fiume Tanjaro, affluente del Tigri. La cattiva gestione e la mancanza di trattamento dei rifiuti hanno portato a una grave contaminazione del suolo, dell’acqua e dell’aria nell’area circostante. Oltre ai rifiuti urbani, si aggiungono quelli sanitari degli ospedali locali, dei cementifici vicini e i residui delle raffinerie di petrolio.

Associazioni ambientaliste e Ong locali come “Waterkeepers Iraq” e “Nature Iraq” stanno monitorando la situazione e chiedendo al governo iracheno di rispettare i requisiti minimi di protezione ambientale. Nell’aprile 2019, attivisti e attiviste di varie organizzazioni della società civile, ricercatori e ricercatrici, esperti e cittadini di tutta la Mesopotamia, in particolare i membri della campagna “Save the Tigris”, hanno organizzato il primo Forum Mesopotamico sull’acqua a Sulaymaniyah.

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Spostandosi da Sulaymaniyah verso Baghdad, la situazione idrica e ambientale è in rapido deterioramento. La qualità dell’acqua del fiume Tigri, linfa vitale della città, è peggiorata negli ultimi tempi soprattutto a causa degli scarichi industriali e domestici sversati direttamente nel Tigri senza trattamento. Secondo un rapporto pubblicato dalla campagna “Save the Tigris” nel 2018, oltre 1.200.000 metri cubi di sostanze inquinanti si trovano nel fiume Tigri a Baghdad e rappresentano una delle cause di maggior diffusione di malattie legate all’acqua inquinata.

Salman Khairallah è un ambientalista, difensore dei diritti umani ed esperto di acqua. Ha 29 anni, è membro dell’Iraqi Social Forum ed è il coordinatore della campagna di advocacy “Save the Tigris and Iraqi marshes”, lanciata nel 2012 da numerose associazioni irachene e supportata dall’organizzazione non governativa italiana Un Ponte Per con l’obiettivo di sollevare l’attenzione internazionale sul patrimonio e sulle risorse idriche dell’Iraq. Salman controlla frequentemente il livello e l’inquinamento dei fiumi Tigri ed Eufrate. Ha inoltre fondato l’associazione “Humat Djilah” e lavora con la società civile irachena per promuovere e difendere il “diritto all’acqua pulita”.

Negli ultimi anni Salman e il suo collega Ali AlKharki sono riusciti a costruire una rete di giovani attivisti e attiviste per l’acqua in tutto l’Iraq. Tra di loro c’è anche una giovane avvocata.

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Le Paludi Mesopotamiche, chiamate anche il “Giardino dell’Eden”, sono una delle più grandi zone umide al mondo e rappresentano un importante centro di biodiversità, ricco di vegetazione, uccelli, pesci, bufali ed esseri umani. Svolgono un ruolo vitale nella migrazione intercontinentale degli uccelli e da tempo sostengono comunità umane uniche nel loro genere. Storicamente le Paludi erano il più vasto ecosistema di zone umide dell’Eurasia occidentale. Si tratta di un raro paesaggio acquatico nel deserto, che fornisce l’habitat per i Ma’dan.

Ma’dan, chiamati anche gli “Arabi delle Paludi”, vivono qui e la loro vita ruota intorno alle Paludi da 5.000 anni, fin dai tempi dei Sumeri. Oggi gli Arabi della Paludi stanno lottando per far fronte alla carenza d’acqua del paese. Non è la prima volta. Il prosciugamento di porzioni di Paludi è iniziato negli anni ’50 ed è proseguito fino agli anni ‘70 per recuperare terreni per l’agricoltura e l’esplorazione petrolifera. Tuttavia, alla fine degli anni ’80 e ’90, durante il governo di Saddam Hussein, questo lavoro è stato ampliato e accelerato per sfrattare i musulmani sciiti dalle Paludi, oppositori del regime.

Dopo la sua caduta nel 2003, le Paludi sono state parzialmente recuperate ma la siccità, insieme alla costruzione delle dighe a monte in Turchia, Siria e Iran, potrebbe ridurre drasticamente il flusso d’acqua del Tigri e dell’Eufrate e costituire una grave minaccia per questo luogo, iscritto nella lista dei siti Patrimonio dell’Unesco, insieme ai siti sumeri di Ur, Eridu e Uruk nel 2016, grazie alle campagne condotte da attiviste e attivisti iracheni. Per sollevare l’attenzione sul problema, un gruppo di giovani ha lanciato la campagna “Iraq without rivers”.

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L’ultima tappa di questo “viaggio sull’acqua” è Basra, la seconda città più grande dell’Iraq e centro nevralgico dell’industria petrolifera del paese. Un tempo soprannominata la “Venezia del Medio Oriente” per i suoi canali, oggi la città soffre per l’inquinamento e la mancanza d’acqua. La principale fonte d’acqua di Basra è lo Shatt al-Arab, il fiume formato dalla congiunzione dell’Eufrate e del Tigri, che attraversa la città.

Secondo un rapporto di Human Rights Watch pubblicato nel 2019, le risorse idriche di Basra sono state vittime di “decenni di inquinamento, cattiva gestione e corruzione”. L’aumento dell’acqua salina nel Golfo Persico, la diminuzione del livello di acqua nei fiumi e l’aumento di sostanze contaminanti chimiche e biologiche nello Shatt al-Arab da acque reflue e rifiuti industriali, aggravati dalla mancanza di adeguati impianti di trattamento delle acque, hanno portato a una crisi ambientale e sanitaria senza precedenti.

La situazione a Basra è pesantemente aggravata dalla presenza dell’industria petrolifera, accusata di aver superato le quote di utilizzo dell’acqua stabilite dalla provincia, iniettandone nei pozzi petroliferi più del consentito. L’industria petrolifera non solo utilizza più acqua, peggiorando il problema della siccità ma sta anche inquinando le risorse idriche locali. Nel 2018 una missione d’inchiesta della società civile irachena ha rilevato pericolosi livelli di inquinamento delle riserve idriche di Basra causati dalle compagnie petrolifere.

Basra è una delle province più colpite dal cancro, soprattutto nelle zone vicine alle fonti di inquinamento, come impianti petroliferi e di gas. Le istituzioni sanitarie si rifiutano di divulgare dati ufficiali ma esperti e specialisti hanno chiarito che alcune fasi dell’estrazione del petrolio, in particolare durante la combustione di gas, possono portare all’emissione di sostanze cancerogene.

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